In Sala Borsa ieri storici e architetti hanno ricordato il ruolo delle acque e dei canali nella nascita della Bologna moderna, nata nel Medioevo grazie ad un sistema idraulico derivato dal Reno e dal torrente Savena che permise alla città di produrre energia e di diventare un grande polo industriale. Nell’ambito delle celebrazioni per l’ottavo centenario di Bologna città delle acque sono intervenuti i presidenti dei due storici Consorzi bolognesi. Antonio Caliceti, presidente della Chiusa di Casalecchio e del Canale di Reno, ha ricordato l’impegno con cui i due Consorzi lavorano: “ Noi svolgiamo i nostri compiti che sono ancora oggi di irrinunciabile utilità per la città – mantenere in efficienza canali e chiuse di Bologna e dintorni sia quando manca la risorsa idrica che nel caso di eccesso di acqua – con grande passione. Il fatto che Bologna non conosca allagamenti è un merito da ascrivere al nostro reticolo idraulico. Siamo in pochi numericamente, i consorzi non hanno tanti dipendenti e soprattutto lavorano contando solo sui contributi privati, senza pesare in alcun modo su contributi pubblici di alcun tipo. Siamo convinti dell’importanza del nostro contributo, anche come eredi di un grande patrimonio storico e culturale che va preservato e tramandato alle nuove generazioni. Vogliamo aprirci sempre più alla città anche valorizzando il grande patrimonio archivistico sul sistema delle acque bolognesi, facendo nascere un Museo delle acque in via della Grada e continuando con i restauri della Chiusa di Casalecchio, monumento storico di valore nazionale. Abbiamo però bisogno del sostegno delle istituzioni locali perché le nostre forze sono limitate e fanno affidamento, lo ribadisco, solo sulle spalle dei privati”. “Abbiamo sempre aiutato agricoltura e orticoltura nello sviluppo della rete idrica, portando l’acqua dei canali a Bologna. Ci siamo dedicati con tenacia alle nostre funzioni, non solo noi consorzi, ma anche le migliaia di consorziati che ci hanno appoggiati. Ecco, il mio augurio è che quell’interesse e quella volontà che ci ha sempre animato possa tradursi in un’attività sempre più apprezzata dai cittadini”, aggiunge Raffaele Poggeschi, presidente della Chiusa di San Ruffillo e del Canale di Savena.

Nel suo saluto il Sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, ha ricordato che “l’acqua è stata storicamente un elemento fondamentale per l’evoluzione sociale ed economica di Bologna. Ai Consorzi che gestiscono i canali e le chiuse di Bologna va riconosciuto dunque il merito di aver mantenuto con il loro lavoro l’identità storica della nostra città. Paradossalmente a Bologna manca una percezione visiva dell’acqua, tanto che la città viene identificata dall’uso della pietra rossa nelle sue case piuttosto che dai suoi canali, visibili solo per alcuni scorci. Ma captando le acque del Reno e del Savena gli antichi bolognesi hanno cambiato il futuro di Bologna, capendo che la forza dell’acqua avrebbe consentito di abbattere i costi e di far fiorire i commerci. Di quel tempo è rimasta la vocazione alla produzione industriale: una volta erano gli arcolai, dopo gli orologi, poi gli organi ed oggi infine i motori, ma è nell’inizio del ‘200 che si trova il principio di tutto. E quell’epoca ci insegna ancora due principi importanti e attuali. Da un lato la convergenza per il bene comune di amministratori e gestori delle attività, la capacità d’innovazione su una risorsa primaria. Dall’altra il perseguire la qualità della vita attraverso l’attenzione alla risorsa acqua. Con questi principi, cioè la capacità di coesione e di miglioramento dello stile di vita, si può anche oggi impostare una certa pianificazione del futuro: e tutto è nato allora dall’acqua”.

 In sintesi gli interventi degli storici. Rolando Dondarini (Università Bologna): “Alla fine del 1100 Bologna cambiò radicalmente proprio costruendo un sistema idrico che favorì il passaggio delle genti dalle campagne alla città e che sviluppò l’industria locale. In questo cambiamento epocale furono tre gli elementi fondamentali di rinnovamento: il nuovo potere del Comune, liberato dall’influenza del Barbarossa, dotato di poteri semistatali e capace di “colonizzare” il territorio circostante; l’evoluzione degli Studi, con l’avvento dei Maestri e delle Universitates di studenti; la Chiesa, che formò i nuovi papi proprio nell’Ateneo bolognese”. 

Alberto Guenzi (Università Bologna): “Tra il 1170 e il 1230 Bologna conseguì quattro primati: il sistema idraulico più avanzato d’Europa; la più alta percentuale di ruote idrauliche in Europa; il più alto livello tecnico nella produzione di tessile; il primo posto nell’elaborazione delle sete per la distribuzione europea. Si sviluppò 25 volte in grandezza e produttività. Ebbene tutto ciò si deve all’approvvigionamento d’acqua, un progetto lungimirante di lunghissimo respiro, che solo dopo secoli mostrò i suoi risultati. L’acqua venne gestita in modo manageriale, attraverso una forma che, sebbene dispotica per l’interesse generale, comportava comunque forme di condivisione dei risultati”. 

Franco Farinelli (Università di Bologna): “La perdita di visibilità dell’acqua a Bologna risale a metà ‘800, quando il territorio comincia ad avere uno spazio unico e centrale (con il capoluogo) e non è più disperso in centri di uguale importanza, raccordati appunto dal sistema idrico di superficie. Il tombamento del canale in via Rialto esemplifica un programma territoriale che non vuole più far emergere l’acqua, ma che persegue la continuità, l’omogeneità e l’isotopicità – tutte le parti vanno in una stessa direzione – del territorio. Un modello che è arrivato fino ai nostri giorni, cambiando poi radicalmente con la reintroduzione del concetto di rete e di più nodi della stessa importanza non più a livello fluviale, ma informatico-telematico”. 

Carlo De Angelis (architetto e storico): “L’utilizzo dell’acqua creò a Bologna una fiorente zona industriale nell’area dell’attuale Palazzo dello Sport. Ma oggi non si trova traccia degli oltre 300 opifici e filatoi posti in 72 caseggiati, a parte in via delle Moline e nelle sedi dei Consorzi. Sparirono in un arco di tempo sorprendentemente breve, tra il 1792 e il 1830, dopo che Bologna era stata una delle capitali europee della produzione di seta, impiegando ben 30.000 persone. Il motivo va imputato alle campagne napoleoniche, che necessitavano di fornire molto più cibo alle armate, il che portò alla conversione della produzione dalla seta al più commestibile riso”.