Non c’è solo l’emergenza siccità con cui fare i conti in Emilia Romagna: la sempre più accelerata trasformazione del territorio, nel senso dell’urbanizzazione e della cementificazione di aree ogni anno più estese, rende il territorio più fragile e alza il livello del rischio idraulico che grava sulle proprietà extra-agricole.
Presentando le iniziative della Settimana della bonifica 2007, il presidente di Urber (Unione Bonifiche Emilia Romagna) Emilio Bertolini ha aggiornato al 2005 i dati sulla scomparsa della Sau (Superficie agricola utile) in regione. Tra il 1990 e il 2005 – incrociando i dati Istat con quelli regionali della carta dell’uso del suolo – la Sau regionale si è ridotta di 202.000 ettari, 40.000 in più rispetto al 2003. In 15 anni si sono perse superfici agricole pari alla somma dell’estensione delle province di Rimini e Ravenna, con una media annua di 13.500 ettari e giornaliera di 2,5 ettari (25.000 metri quadrati), pari all’estensione di 3 campi di calcio. “Si continua a costruire e ad asfaltare, a realizzare nuovi insediamenti residenziali, commerciali e industriali quasi sempre su suoli non urbanizzati, con pesanti conseguenze sugli equilibri idraulici del territorio”, continua Bertolini, che ricorda che le aree produttive e le infrastrutture sono cresciute in 15 anni del 192,3% e le zone residenziali e le reti stradali del 47,5%.
Per effetto della diminuzione dell’attività agricola si è aggravato il problema della sicurezza territoriale. Degli oltre 200.000 ettari persi in 15 anni, si può calcolare che metà si siano trasformati in aree urbanizzate. Ebbene queste superfici dal punto di vista delle conseguenze sullo smaltimento delle acque vanno moltiplicate per dieci: “Il che significa che i Consorzi di bonifica si sono dovuti fare carico di 1 milione di ettari in più, con tutte le conseguenze del caso. Cioè più interventi, più manutenzione, più costi di personale ed esercizio”. Mentre la rete (canali, impianti) è sempre la stessa e necessiterebbe di interventi ordinari di adeguamento/potenziamento con fondi da parte di Stato e Regione che mancano dalla fine del secolo scorso. Gli ultimi interventi straordinari coi fondi della Protezione civile risalgono invece al 2000/2001. “Di fatto, per contrastare il crescente rischio idraulico – insiste Bertolini – bisogna fare affidamento quasi esclusivamente sulla contribuenza, cioè sui consorziati”.
Ma anche i terreni lasciati all’abbandono non sono ‘neutri’ dal punto di vista idraulico. L’assenza di manutenzione espone il territorio, specie quello montano, al rischio di eventi naturali (frane, alluvioni, smottamenti, ecc.) mentre nelle aree incolte, prive di regimazione idraulica, il tempo di consegna dell’acqua piovana ai torrenti si riduce a poche ore, mettendo in difficoltà il reticolo naturale a valle, più esposto al rischio di allagamenti o esondazioni.
Le mutazioni climatiche pongono i Consorzi di bonifica sul confine tra due criticità: l’emergenza siccità, cioè distribuzione e uso razionale della risorsa, e il rischio idraulico crescente di pari passo con l’urbanizzazione. “Per la difesa del territorio su cui gravano in maggioranza proprietà non agricole, le uniche risorse economiche certe, destinate annualmente alla sicurezza territoriale, rimangono quelle dei Consorzi di Bonifica che, seppur in termini insufficienti, rappresentano l’unica risorsa in grado, con continuità, di presidiare il complessivo territorio regionale”.