ALLUVIONE EMILIA ROMAGNA. TORRENTE IDICE: LA ROTTA DIMENTICATA CHE CONTINUA AD ALLAGARE LE CAMPAGNE. LA MANCANZA DI FINANZIAMENTI IMPEDISCE LA RICOSTRUZIONE DELL’ARGINE ED IL CONSOLIDAMENTO DELLE SPONDE. CONSORZIO CER AUDITO IN COMMISSIONE AMBIENTE CAMERA

Roma, 21 giugno 2023 – Mentre si risponde con ordinarie tempistiche ad una condizione di persistente emergenza in Emilia Romagna, nel bolognese c’è un torrente che, in una situazione di cristallizzato immobilismo decisionale, continua ad allagare circa 600 ettari di territorio: è la rotta dell’Idice (lunga circa 150 metri, vicino al ponte crollato della Motta, tra i comuni di Budrio e Molinella), da cui fuoriescono oltre 7.000 litri d’acqua al secondo.

Accade così dai giorni dell’alluvione di Maggio, quando il cedimento dell’argine provocò l’inondazione di circa 2000 ettari, poi parzialmente ridotta, allora come adesso, dall’azione del reticolo idraulico di bonifica, devastato comunque dalla grande massa d’acqua e fango. Non solo: a monte della rotta ci sono oltre 3 chilometri d’argine in precaria sicurezza con evidente pericolo per alcuni centri abitati ed è proprio il timore per i rischi collegati ad un possibile aumento  della pressione spondale a sconsigliare la chiusura dell’argine, senza procedere ai necessari rinforzi a monte, per i quali la Regione Emilia Romagna non dispone da sola delle necessarie risorse (si parla di centinaia di milioni di euro).

“La rotta dell’Idice è l’immagine di un dramma, che rischia di essere troppo velocemente dimenticato. I giorni passano e, senza adeguati stanziamenti nonchè normative finalizzati alla sistemazione e ricostruzione del reticolo idraulico, le zone alluvionate arriveranno all’autunno idraulicamente fragili: ogni evento meteo rischierà di avere l’effetto dello sciame sismico su territori colpiti da un  terremoto”: a lanciare l’allarme è Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI).

Intanto, nell’ambito dell’esame del disegno di legge sugli interventi urgenti atti a fronteggiare l’emergenza provocata dagli eventi alluvionali in Romagna, l’VIII Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati ha svolto a Roma alcune audizioni, aperte da quella con il Consorzio C.E.R. – Canale Emiliano-Romagnolo, in cui il Presidente, Nicola Dalmonte, ha relazionato in merito alle operazioni straordinarie, implementate durante l’emergenza e sui relativi danni subìti dall’infrastruttura.

Durante gli eventi alluvionali di Maggio, infatti, dato il perdurare della drammatica situazione alimentata dalle piogge, sono state effettuate operazioni di natura eccezionale, volte a scaricare i tratti invasi dalla tracimazione dei torrenti appenninici verso il Cavo Napoleonico e quindi nel fiume Po: sezionando il canale, grazie alle paratoie ed attraverso la regolazione dei flussi, è stato possibile allontanare dalle aree alluvionate volumi d’acqua, pari ad oltre 7 milioni di metri cubi. L’eccezionalità di tali operazioni, però, mostra ora i danni subìti dalle strutture del C.E.R., stimabili in circa 360.000 euro con criticità all’impianto del Savio e per la rottura arginale in corrispondenza del fiume Montone. Il Canale Emiliano Romagnolo si presenta, infatti, come un unicum multifunzionale, progettato per portare le acque dal fiume Po fino in Romagna, dove costituisce una risorsa essenziale per attività agricole, civili, industriali e ambientali, grazie alle sue finalità di adduttore di acque, non di canale di scolo.

“L’eccezionale inversione di flusso, operata nel canale C.E.R. grazie ad una riconosciuta perizia idraulica, è stata l’esempio di un sistema, quello dei Consorzi di bonifica, messosi senza remore al servizio del territorio. Il grazie, ribadito anche in sede di Commissione parlamentare, deve però essere sostanziato da adeguati finanziamenti statali per ricostruire la rete idraulica. I Consorzi di bonifica, i cui bilanci sono tarati sulla gestione ordinaria, non hanno risorse sufficienti e le mancate riparazioni metterebbero in ulteriore pericolo territori già duramente provati” – conclude Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI.